Italia giudaica
Sinagoghe e non solo
La storia delle prime sinagoghe italiane risale all’epoca romana, quando iniziarono a sorgere come luoghi di culto e punti di riferimento per le numerose comunità ebraiche presenti sul territorio. Tra queste, uno degli esempi più emblematici è quello della sinagoga di Ostia Antica, risalente al I secolo e rimasta in uso fino al IV secolo d. C., i cui reperti sono oggi conservati al Museo Ebraico di Roma.
Con il passare del tempo e con l’affermarsi del Cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero romano, tuttavia, vennero sviluppate restrizioni per regolare la presenza di luoghi di culto ebraici nei Paesi cristiani e più tardi, a partire dal XVI secolo, vennero istituiti l’obbligo di costruire le sinagoghe all’interno dei ghetti e il divieto di decorare la facciata e gli esterni di questi edifici per non far comprendere la loro funzione e la loro appartenenza religiosa.
In seguito, nel pieno clima di libertà successivo all’emancipazione degli Ebrei d’Italia a partire dal 1848, ricominciarono a essere costruite sinagoghe con facciate e ingressi monumentali, non più grandiose solo al loro interno come accadeva in passato, quando all’austerità e alla semplicità degli esterni si contrapponeva la ricchezza degli interni in stile barocco, rococò o neoclassico, a seconda del periodo di costruzione.
Ciò che distingue l’Italia dagli altri Paesi del mondo da questo punto di vista è la continuità con la quale la cultura giudaica è sempre stata presente sul nostro territorio, dai primi ritrovamenti in epoca romana al terribile periodo dell’Olocausto: da Firenze, con la sua Grande Sinagoga sull’Arno, simbolo dell’emancipazione di fine Ottocento, alla sinagoga barocca di Casale Monferrato, anonima fuori ma gioiello artistico all’interno; da Milano, con il Memoriale della Shoah, a Venezia, con il suo celebre ghetto e le sue cinque sinagoghe, in Italia viene raccontata una storia giudaica fortemente legata a quella del territorio.
Il Veneto è una delle zone in cui questa religione ha lasciato il segno più evidente, soprattutto nel capoluogo: tra ghetti, angoli segreti e splendide sinagoghe del Cinquecento, qui è possibile scoprire i luoghi più magici dell’ebraismo veneto, al confine tra passato e presente.
Il termine “ghetto” si originò proprio tra le calli di Venezia, dove nel 1516 iniziò l’effettiva segregazione degli Ebrei in questo specifico quartiere della città: il nome deriva dalla storpiatura della parola “geto” – che in veneziano significa “fonderia”, la costruzione anticamente presente nell’area – da parte della popolazione ebraica perlopiù proveniente dall’Europa centro – orientale, che determinò l’origine del termine per come oggi viene utilizzato in tutto il mondo.
La zona del ghetto si presentava già al tempo come appare oggi, come una piccola isola circondata dai canali, accessibile solo tramite due ponti: all’epoca in corrispondenza dei ponti si trovavano robusti cancelli, che venivano chiusi e sorvegliati di notte, poiché agli Ebrei era consentito uscire dal quartiere solo di giorno e con appositi segni distintivi.
All’interno del ghetto veneziano sono presenti cinque sinagoghe, quasi invisibili dall’esterno ma riccamente decorate all’interno: la più antica è la Scuola Tedesca (1528), caratterizzata da una sala trapezoidale e da un matroneo elegantemente decorato, alla quale si accede tramite le scale del Museo d’Arte Ebraica, che conserva un’ampia collezione di oggetti preziosi come calici e bicchieri dello Shabbàt, candelieri del Settecento, stoffe e argenti pregiati. A pochi passi da qui si arriva alla Scuola Cantòn (1532), una costruzione contraddistinta da interni armonici ed eleganti, rivestita in legno di noce finemente scolpito; la Scuola Italiana, invece, si affaccia sul campo del Ghetto Vecchio, dove la sinagoga Spagnola colpisce per lusso e dimensione degli interni e la Levantina, considerata l’edificio più elegante del ghetto, conserva la preziosa Arca rinascimentale.
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